LIS: la lingua dei segni italiana ancora ferma in parlamento

logosnewdal sito www.mentifuga.com

Il linguaggio del corpo è lo strumento di comunicazione più usato al mondo, più della parola o della scrittura, e noi italiani lo sappiamo bene. La gestualità che accompagna il nostro dialogare ci rende da sempre riconoscibili e fa parte del “made in Italy” come gli spaghetti, la pizza e il caffé espresso. Quel gesticolare con le mani e con il corpo, l’espressione del viso, i movimenti della bocca e degli occhi, rafforzano e sottolineano la comunicazione arricchendola di colore e immediatezza. Non ce ne rendiamo nemmeno conto perché è una cosa naturale, spontanea. E nemmeno ci accorgiamo della curiosità e dell’ilarità che suscitiamo nello straniero che ci osserva. Sfregare il pollice con l’indice e il medio è un gesto che facciamo per chiedere il prezzo di un oggetto o il conto di un ristorante, non solo quando siamo all’estero e non abbiamo padronanza della lingua, ma anche nell’esercizio sotto casa. Per caratteristiche geografiche e storiche il nostro paese è costituito da tante piccole comunità che mantengono vive le loro tradizioni e le forme dialettali della lingua italiana, a volte vere e proprie lingue anch’esse. E forse è proprio il gesticolare la nostra lingua più diffusa. Del resto la parola è solo uno degli strumenti della comunicazione, molti altri compensano il silenzio prevaricando o sostituendo il suono.

Eppure in Europa solo l’Italia e il Lussemburgo non hanno ancora riconosciuto una propria lingua nazionale dei segni, a favore delle persone audiolese e in ottemperanza a quanto sancito dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità del 2006. Convenzione che l’Italia ha firmato il 30 marzo 2007 a New York e ha ratificato a Roma il 24 febbraio 2009. La ratifica vincola lo Stato a garantire il diritto all’accessibilità alla comunicazione nelle modalità più appropriate per ciascun individuo, ma la proposta di legge sul riconoscimento della lingua dei segni italiana è ancora all’esame della Commissione Affari Sociali della Camera, dopo la partenza dell’iter parlamentare il 9 marzo del 2009.
Nel nostro paese ci sono circa 60.000 sordi e più del 60% di loro utilizza la LIS (lingua dei segni) che, con regole grammaticali, sintassi e morfologia, si serve della gestualità, del movimento, della configurazione e postura delle mani e dell’espressione labiale e corporale per comunicare. La lingua dei segni è utilizzata non solo dalle persone audiolese ma anche da udenti, parenti di sordi, e da coloro che si appassionano per motivi personali o professionali.
Ogni paese adotta una propria lingua dei segni. La maggior parte di loro, come quella italiana, si basa su unità minime dette cheremi che, come i fonemi per la lingua parlata, prese singolarmente sono prive di significato ma, combinate tra loro, danno vita ad una serie infinita di segni. La combinazione dei cheremi associata all’espressione facciale e all’articolazione della bocca e dello sguardo da quindi vita alla comunicazione. I cheremi furono scoperti alla fine degli anni 50 dal linguista americano William Stokoe durante l’osservazione della American Sign Language (ASL) la lingua usata dalla Comunità Sorda Statunitense. Da allora molte ricerche sono state fatte e altrettanti metodi sono stati applicati per costituire le singole lingue dei segni che differiscono soprattutto per caratteristiche legate alla particolare cultura in cui la lingua viene usata. In Italia la ricerca sistematica sulla Lis iniziò negli anni ottanta ad opera dei ricercatori dell’Istituto di Psicologia del CNR di Roma, diretto dall’equipe di Virginia Volterra. Lo studio, condotto in collaborazione con un gruppo di persone sorde, evidenziò quanto la lingua dei segni italiana fosse una vera e propria lingua, con regole sintattiche, semantiche, morfologiche e fonologiche proprie, e quindi espressione della cultura e delle tradizioni di una vera e propria minoranza linguistica.
La legge ad oggi ferma in parlamento, promossa dall’Ente nazionale sordi (Ens) e sostenuta da campagne come #ITALIALOVELIS [1], chiede infatti il riconoscimento della Lis come lingua di una vera e propria minoranza e l’assunzione, da parte dello Stato, di tutti quei provvedimenti volti a garantire ai sordi pieni diritti di cittadinanza: “un effettivo e illimitato accesso all’informazione, alla comunicazione, alla cultura, all’educazione, ai servizi, alla vita sociale, lavorativa e perfino ricreativa attraverso un’equa rappresentazione politica e giuridica, l’accesso all’istruzione, l’uso della Lis negli uffici e nelle amministrazioni pubbliche, l’insegnamento nelle scuole dell’obbligo e la creazione di corsi universitari dove apprenderla”.
Purtroppo la comunità delle persone sorde in Italia è divisa sulla sua approvazione. Da una parte, oltre all’Ente Nazionale Sordi che l’ha promossa, spicca il movimento LISSubito! che supporta la campagna a favore dell’approvazione.
Dall’altra associazioni come Fiadda (Famiglie italiane associate per la difesa dei diritti degli audiolesi) e il Comitato nazionale genitori dei familiari disabili uditivi (supportati dalla Società italiana di otorinolaringoiatria e dalla Società italiana di audiologia e foniatria), che ritengono che la normativa sia discriminatoria nei confronti delle persone sorde rispetto al resto della società. I detrattori della legge sostengono infatti che il riconoscimento della Lis come lingua di minoranza in base all’articolo 6 della Costituzione porterebbe i sordi ad essere ulteriormente ghettizzati e limiterebbe l’apprendimento e l’uso dell’italiano parlato e scritto. Ne fanno anche una questione economica poiché all’attuazione della legge sarebbero destinate tutta una serie di risorse che potrebbero essere impiegate nei programmi di screening neonatale della sordità e nella terapia basata su protesi acustiche e impianti cocleari.
Molti studiosi, prima fra tutti proprio la ricercatrice Virginia Volterra, affermano invece che è proprio la conoscenza della lingua dei segni che permette ai sordi di essere integrati nella società. I bambini sordi che apprendono la lingua dei segni fin dai primi mesi di vita imparano più facilmente la lingua parlata e scritta se la acquisiscono come seconda lingua. Conoscere bene la lingua dei segni fa inoltre sviluppare un forte senso di appartenenza ad una comunità non più vissuta solo come categoria “svantaggiata”, imprimendo un maggior senso di sicurezza e serenità, aumentando il bagaglio culturale e l’autostima dell’individuo favorendone l’integrazione nella società udente. L’apprendimento di una lingua dei segni in età precoce sarebbe vantaggioso anche per i bambini udenti perché stimolerebbe il canale di comunicazione visivo-gestuale favorendo il potenziamento di alcune aree cognitive particolarmente legate all’attenzione, alla discriminazione e alla memoria visiva. In sostanza si va a sostenere un “bilinguismo bimodale”, basato sia sui segni che sul suono.
Questa diatriba tra segnisti, che sostengono il riconoscimento della lingua nazionale dei segni, e oralisti, per i quali è invece importante l’apprendimento della lingua parlata e i progressi di medicina e tecnologia, altro non fa che rallentare il riconoscimento della Lis e, di conseguenza, il processo che porterebbe alla rimozione delle barriere che limitano l’esercizio dei diritti dei cittadini sordi e che impediscono la piena integrazione nella vita sociale, culturale, politica ed economica del Paese. In un’unica parola, alla dignità.
E mentre in Italia si decide ancora sul riconoscimento di una lingua nazionale dei segni, nel mondo già si diffonde il concetto di una lingua internazionale dei segni che permetta la comunicazione tra persone sorde di diversa nazionalità, il signuno, basato sulle radici lessicali dell’esperanto.

Federica Crociani

Lis: la lingua nazionale dei segni ancora ferma in Parlamento.

Comments are closed.